Noi antidemocratici
Noi antidemocratici non idealizziamo l’antidemocrazia, noi critichiamo la democrazia reale quando cade in contraddizione. Le sue truffe, i suoi modi affettati e subdoli, ci irritano. In quanto ad onestà, preferiamo una sincera dittatura. Ai nostri spacciatori di fiducia (di antiemetici) s’illuminano gli occhi quando il club privé mediatico, palesando tali truffe con la sfrontatezza di un volo Albenga-Roma, ci provoca l’ennesima crisi di nausea violenta.
Noi liberali antidemocratici malsopportiamo la tirannìa della maggioranza, e critichiamo le belle favolette democratiche con le argomentazioni di Stuart Mill, di Rousseau, di Nietzsche, degli elitisti del primo Novecento. Ma nessuno ci ascolta, anzi la grancassa mediatica ci sovrasta col suo ritmo monòtono, banale, martellante. “La democrazia rappresentativa è il migliore dei sistemi possibili”, ci ripetono. Sistemi? Veramente sono le 3 del mattino, e volevo solo scolarmi mezza bottiglia di Cabernet al parchetto del mio quartiere senza subir noie per qualche ordinanza comunale dagli esiti illiberali e grotteschi.
Noi relativisti antidemocratici proprio non capiamo quale debba essere, nella testa di molti commendevoli politici, giornalisti e burattinai mediatici di altra risma (che dirigono con spietati agenda setting gli argomenti quotidianamente diffusi dai media) il significato di “sistema migliore”; certo è che loro si sono ben sistemati. E noi li ascoltiamo ogni giorno, sino al momento del voto, per eleggere un’altra oligarchìa (mascherata da rappresentanza democratica) cui eventualmente affiliarci. Che tartuferìa! Persino Hitler era più onesto e ti ordinava di portare un simbolo di riconoscimento, magari un tatuaggio.
Noi nichilisti antidemocratici siamo privi di ideali, e non vediamo alcun vantaggio (se non quello, psicologico, della speranza, che nulla ha di razionale e che è – aveva ragione Monicelli – “una parola vuota”) nel perseguirne uno, perlomeno se nel far ciò non riusciamo, entro il breve tempo della nostra vita singola, a vederla prendere una direzione che ci aggrada. Chessò, verso un pub.
Noi aristocratici antidemocratici siamo scettici di fronte al suffragio universale, concesso con leggerezza e lasciato in balìa dell’emotività, della pubblicità, dell’irrazionalità quando non del becero clientelismo. Regalereste una penna ad un analfabeta senza la minima garanzia che l’userà per imparare a scrivere? Poi non vi lamentate se, svitandone l’interno, ne farà una cerbottana, dato che quindici anni di televisione lo hanno convinto che la scrittura è deprecabile.
Noi guerrafondai antidemocratici preferiamo una guerra legittima ad un’illegittima finta pace, e non siamo soliti chiamare “terrorista” un partigiano per il solo fatto che è Talebano. Collezioniamo tutti i “se” e i “ma” scartati da coloro che pretendono di condannare la violenza “senza se e senza ma”. Come gli antichi Greci, giustifichiamo il tirannicidio; come gli anarchici, giustifichiamo la demolizione di una democrazia che non rispetta i suoi presupposti; come la Regina di cuori di Alice, vorremmo vedere mozzar teste, ché tanto le Idre parlamentari ne han da vendere, e infatti ultimamente si vendono assai bene.
Noi antidemocratici, veri liberali, estremi relativisti, nichilisti inguaribili e non-nonviolenti dallo spirito aristocratico siamo da tempo esclusi da qualunque dibattito; emarginati ed ostracizzati, giacché non ci allineiamo alle schiere del popolo democratico e non crediamo alle sue favolette. Ma verrà presto il tempo in cui le contraddizioni di questa truffa chiamata democrazia impediranno di averne ancora fiducia. Allora i problemi saranno sì gravi che, come aveva previsto Nicolás G. Dávila, non varrà una moltitudine di inetti a risolverli. E noi? Noi saremo pronti per comandare.